Fortunatamente lo posso raccontare!
La straordi-storia di Valerio Lalli
“Qualcosa di inizialmente triste o brutto
può diventare una rampa di lancio,
ma bisogna impegnarsi al massimo
per capire dove essa sia
e aspettare nel caso in cui
non riuscissimo subito
ad individuarla…”
– Valerio Lalli
Era il 23 maggio 2017.
Eravamo a Roma, in Fondazione 3M per l’evento di presentazione del progetto #GalateoLinkedIn.
Sono passati due anni da allora: anni intensi e pieni di tante esperienze condivise che ci hanno permesso di raccontarci, conoscerci e di diventare amici.
Vorrei però che fossi tu Valerio a presentarti.
Raccontaci chi sei…
Sono nato a Roma nel 1993 e nei primi anni di vita la mia casa è stata il Policlinico Gemelli.
Sono il “miracolo” del reparto di Neurochirurgia Infantile, almeno così ha sempre parlato di me il Prof. Massimo Caldarelli, una persona di un’umanità straordinaria e grande professionista che da ventisei anni, ormai è sempre al mio fianco.
Sono un tipo molto empatico, mi emoziono facilmente e questa mia caratteristica mi permette spesso e volentieri di poter instaurare legami forti con le persone che incontro nella mia vita e di legare la nostra conoscenza ad un qualcosa o evento che considero importante, in un certo senso di brandizzarle.
Nel lavoro sto cercando di fare altrettanto, sto sviluppando UNICA, un progetto che rende visibili le emozioni attraverso delle opere d’arte, dando la possibilità ad ognuno di noi di poter rivivere concretamente un ricordo, un’esperienza o di poter pensare ad una persona semplicemente quando le si osserva.
Descriviti con un tweet: 180 caratteri che parlano di te.
Io sono Cuore di Rondine.
Ho iniziato a sentirmi così dopo la lettura di un libro che aveva proprio quel titolo. Mi ha insegnato cosa sono il coraggio, la fiducia in se stessi e la resilienza.
Se dovessi scegliere invece un’immagine per descriverti, quale useresti?
Ho scelto una rondine.
Non molto tempo fa grazie a mio zio, Ufficiale dei Carabinieri in congedo, ho avuto l’onore di incontrare il Comandante Alfa, nome con cui si identifica uno dei fondatori del GIS, il Gruppo Intervento Speciale dei Carabinieri, reparto d’élite dell’Arma. Ha deciso di raccontare la sua storia in tre libri e uno di questi era proprio “Cuore di Rondine”, il cui titolo deriva da una legenda che il nonno ha raccontato al Comandante, secondo la quale, chiunque avesse ucciso una rondine e ne avesse mangiato il cuore ancora caldo, sarebbe diventato coraggiosissimo e invincibile.
Il giovane Alfa allora dodicenne, dopo moltissimi tentativi riuscì ad uccidere la rondine, mise in pratica la legenda ma non successe nulla. Parecchi anni dopo però, ventiseienne (come me ora) carabiniere paracadutista, venne chiamato insieme ad altri quattro suoi colleghi a fondare quello che oggi è uno dei reparti speciali migliori al mondo, con numerose sfide durissime che ha superato brillantemente grazie a quella rondine che non lo ha mai abbandonato e da cui ne ha fatto un simbolo di riflessione interiore, tenacia e di forza, proprio come si evince da questo passo del libro:
“Capisco che ho smesso di cercare di tormentarmi
ogni volta che ho lasciato libera la mia rondine di spiccare il volo.
Capisco che ho smesso di cercare fuori
quando ho capito che era dentro di me
che dovevo rovistare e riconoscere il cuore di rondine”.
Ecco, questo è ciò che porto dentro di me, scalfito persino nella pelle con un tatuaggio di una rondine sul braccio sinistro proprio come il Comandante Alfa; anche io nella rondine ho trovato la forza di rialzarmi, capendo che ogni qualvolta sono messo davanti a una sfida di qualsiasi natura, devo combattere.
Qual è il sogno di Valerio? È diverso dal sogno che Valerio aveva da piccolo?
Il mio sogno è quello di lasciare un segno – come fossi un piccolo Steve Jobs – attraverso il progetto UNICA e ispirare le persone aiutandole a trovare il loro perché, come dice Simon Sinek.
Più che sogni le definirei missioni, come un costante riferimento al sogno che avevo da piccolo e al quale purtroppo ho dovuto rinunciare.
Sono nipote di militari. Mio nonno è stato un Ufficiale dell’Aeronautica Militare per quaranta anni e mio zio Ufficiale dei Carabinieri; nei loro racconti e quelli che sono i loro ideali, mi ci sono sempre ritrovato e quindi, volevo percorrere la loro stessa strada (o in Aeronautica o nei Carabinieri).
I cambi della guardia al Quirinale con mio nonno e tutte le manifestazioni aeree dove potevamo andare, per qualche ora mi facevano sentire parte di quell’unico insieme che lavora in costante cooperazione per un unico obiettivo: la salvaguardia delle libere istituzioni e l’eterna fedeltà alla Repubblica Italiana.
Il desiderio era talmente forte che chiesi a mio nonno, contentissimo anche lui di questa mia inclinazione, di insegnarmi i versi del giuramento, l’alfabeto NATO (usato per scandire le lettere nelle comunicazioni radio) e addirittura a marciare.
Diciamo che così facendo, ho potuto sognare ad occhi aperti.
Cosa ti ha impedito di realizzare questo sogno?
Come ho anticipato, per qualche tempo la mia casa è stata il Policlinico Gemelli.
I neurochirurghi indentificano il mio caso con il nome di idrocefalo post-emorragico.
Sono nato prematuro e, per lo stress del parto, dopo qualche giorno qualcosa non è andato per il verso giusto. Ho avuto un’emorragia cerebrale che ha causato l’otturazione di un ventricolo e che non permetteva più al liquido del cervello di circolare.
Ero piccolissimo, pesavo 1kg 650 e con il calo fisiologico sono arrivato a pesare 1 kg 200.
Dovetti subire un intervento che consisteva nell’impiantare uno shunt (un tubicino che parte dalla testa e arriva fin poco sotto l’addome) che svolgesse le funzioni di quel ventricolo otturato. Dato il mio peso i rischi di non farcela erano tantissimi, sia per l’operazione stessa, sia per il periodo post-operatorio.
Ma non c’era scelta, così io da una parte e il Prof. Massimo Caldarelli dall’altra, abbiamo iniziato a lottare intervento dopo intervento, con periodi di terapia intensiva, TAC, lastre…
Abbiamo scritto una storia di diciotto capitoli conclusasi (speriamo) nel 2012.
Ma oggi sono qui e sto raccontando la mia storia, ho l’onore e la possibilità di poterlo fare.
Del reparto di Neurochirurgia Infantile del Policlinico, ho sentito tantissime storie raccontate da mia mamma, storie di piccolissimi guerrieri purtroppo mai usciti da quella porta rossa della sala operatoria, di genitori in trepidante attesa davanti a quella porta per sapere il destino del proprio piccolo e che spesso hanno dovuto ascoltare la voce rotta del Prof. Caldarelli o di qualche suo collega che diceva loro “Signori, mi dispiace non c’è stato nulla da fare”; bambini che durante la notte ci hanno abbandonato perché o non hanno resistito all’intervento o perché era stato diagnosticato loro un tumore cerebrale o una malformazione che non aveva lasciato scampo.
Della mia storia mi porto dietro soltanto un problema agli occhi relativo ad un lievissimo ritardo della riflessologia oculare, per la quale mi è stato sconsigliato di guidare.
Se penso però a quali sarebbero potute essere le conseguenze, condivido quello che ci diciamo sempre con il Prof. Caldarelli: “Abbiamo la fortuna di poterlo raccontare!”
E come dice lui a me: “Tu per noi sei il miracolato!” perché a volte, anche se l’intervento stesso riesce, i postumi del danno cerebrale rimangono.
Attraversare una crisi e crescere: è possibile?
Certo! Come dice quel famoso proverbio: “da ogni crisi nasce un’opportunità”.
La difficoltà è metabolizzare la crisi, attraversarla.
La vita è un pánta rheî, tutto scorre e si trasforma. Se c’è stata una crisi è perché doveva esser fatto spazio a qualcosa di nuovo. L’importante è, come dice il mio amico Comandante Alfa, credere fortemente in sé stessi, non mollare mai e alle prime difficoltà non piangersi addosso.
Come hai riconvertito la tua ‘impossibilità’ di fare alcune cose facendone altre?
Ricordando la teoria dei puntini di Steve Jobs “puoi connetterli soltanto guardandoti indietro non in avanti”. Per ogni evento che capita ne seguiranno altri e in qualche modo tutti quanti saranno connessi, andranno a disegnare quello che è il nostro destino e ci faranno capire perché alcune cose non sono andate come avremmo voluto. E per continuare a citare sempre lui, ho continuato a cercare, ci doveva essere per forza qualcos’altro che sarei stato chiamato a fare.
Come mai hai scelto di parlare di un argomento così delicato in modo così aperto?
Perché ho la fortuna di poterlo raccontare e purtroppo non è da tutti. É una storia iniziata molto male ma finita benissimo direi. Penso poi possa essere uno spunto da cui partire per fare qualche riflessione e riflettere sull’importanza di dar valore a ciò che di più grande possiamo possedere: gli affetti.
Come si esce dal concetto di ‘impossibilità’ e si passa invece nella sfera dell’”avere qualcosa di speciale”?
Come direbbe mio nonno: non vivendo di se e ma.
E quindi mi ritrovo a vivere quel concetto di “impossibilità” per quello che è realmente, senza rimpianti e ricordando sempre che un evento può avere vari esiti.
Qualcosa di inizialmente triste o brutto può diventare una rampa di lancio, ma bisogna impegnarsi al massimo per capire dove essa sia e aspettare nel caso in cui non riuscissimo subito ad individuarla. Il tutto dipende dal nostro approccio mentale.
Chi è per te un modello? Ne hai incontrato qualcuno nella tua vita a cui ti sei ispirato?
Un modello è una persona da cui trarre ispirazione, una guida e purtroppo non ne ho ancora incontrato nessuno. O meglio, diciamo che non ho un unico esempio da seguire.
Se parliamo di modelli penso a Steve Jobs, Simon Sinek, Sergio Marchionne, Tony Robbins, Niki Lauda e ci metto anche mio zio, quello di cui ho parlato prima, “il Colonello” come lo chiamo io. Al di là della notorietà di alcuni, li seguo perché mi piace il loro modo di pensare e soprattutto perché hanno sempre qualcosa da insegnarmi.
Qual è la tua visione del “per sempre”?
Avanti insieme contro tutto e tutti, oltre ogni cosa.
Qual è l’errore più grande che hai commesso, cosa hai imparato e come questo ha ri-orientato la tua vita?
Non parlare quando è il momento e non accertarsi che l’altro ti abbia compreso: in altre parole, un errore di comunicazione. Oggi sto cercando di seguire questo tema in ogni suo aspetto, con esperti, libri, video, consigli e ponendomi costantemente delle domande.
Credi ci sia un momento nella vita in cui è fondamentale chiedere aiuto?
Probabilmente quando non vedi altro che la rassegnazione.
Tu vivi a Roma, una città molto complessa e, per i motivi che ci hai raccontato, hai difficoltà a spostarti da un luogo all’altro della città in maniera agile e autonomamente: se dovessi realizzare un progetto di mobilità, quale sarebbe la tua proposta?
Forse qualcuno ci starà già lavorando ma lo chiamerei: Wearable mobility: vestiti e vai dove vuoi! Mi viene in mente un dispositivo indossabile come un giubbotto, un casco, un orologio su cui impostare la destinazione: al resto ci pensa lui.
Come vedi il tuo futuro?
In questo preciso istante della mia vita non te lo saprei dire. Sono stato sempre una persona che programmava ogni singola cosa, ma poi ho capito che non serve. Da qualche anno tendo a ragionare a brevissimo termine e a vivere il qui ed ora. Con questo approccio spero di far bene per quello che sarà il domani.
Le parole che non ti ho detto: c’è qualcosa che vorresti dire a qualcuno e che non hai mai avuto il coraggio o semplicemente l’opportunità di dirlo?
Cerco sempre di dire tutto a tutti subito, prendendomi magari anche del tempo, ma alla fine evito di portarmi scheletri nell’armadio. Ne approfitto nuovamente invece per ringraziare il Prof. Caldarelli, a cui dedico questa intervista.
Valerio oggi: hai un sogno che vorresti trasformare in progetto?
Sono follemente appassionato di Aston Martin e il mio sogno sarebbe quello di sentire nuovamente il rombo del loro motore anche qui a Roma. Avevo maturato l’idea di trasformare questa mia passione in un qualcosa di concreto raccontandola in un ipotetico blog insieme alle varie esperienze fatte nei concessionari (non sono semplici visite ma vere e proprie esperienze a contatto con il brand), ma poi ho mollato.
Vado spesso a Milano dove c’è un concessionario, l’unico rimasto in Italia insieme a quello di Verona: ho raccontato loro questa mia idea, sperando un giorno di poter insieme avverare questo mio sogno.
C’è una frase made by Valerio Lalli che ti va di condividere?
“Respiro libero
Urlo nell’anima
Nelle tue mani se vorrai
Il tuo destino avrai”
Da “Nelle tue mani” – Andrea Bocelli
Ma anche la parte finale della poesia “Invictus” scritta da William Ernest Henley e recitata nell’omonimo film:
“Sono il padrone del mio destino, il capitano della mia anima”
Grazie Valerio.
Sono felice tu abbia accettato di chiacchierare con me.
Grazie per l’impegno, l’attaccamento e la fedeltà che hai dimostrato in questi due anni.
Grazie per essere mio amico, un amico speciale.
A te, al tuo futuro in costruzione e ai nostri giorni futuri da vivere insieme!
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